Spazi aperti per l’accoglienza e la valorizzazione delle diversità

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Diversità è una parola con molte accezioni, ampiamente studiata dalle scienze sociali, ma anche dalle cosiddette “scienze dure”.

Su di essa si basa il processo di riconoscimento sociale, il senso di appartenenza ad un gruppo.  Così come, al contrario, la diversità può accendere sentimenti di divergenza, di rifiuto di ciò che si allontana da quella normalità che conosciamo e che ci è familiare.

Nel 2001 la Dichiarazione Universale UNESCO sulla Diversità Culturale ha stabilito che “fonte di scambi, d’innovazione e di creatività, la diversità culturale è, per il genere umano, necessaria quanto la biodiversità per qualsiasi forma di vita. In tal senso, essa costituisce il patrimonio comune dell’Umanità e deve essere riconosciuta e affermata a beneficio delle generazioni presenti e future”.

Nella realtà quotidiana ci rendiamo conto però di quanto questo sia difficile e di come le diversità (culturali, ma anche religiose, economiche, ecc…) siano molto spesso interpretate come minacce piuttosto che come risorse, alimentando così conflitti: interpersonali, di gruppo, trans-nazionali.

Urban diversity:  Copenhagen’s Superkilen Urban Park by BIG + Topotek1 + Superflex (fonte: http://flash.big.dk/projects/suk/)

Urban diversity: Copenhagen’s Superkilen Urban Park by BIG + Topotek1 + Superflex (fonte: http://flash.big.dk/projects/suk/)

Di fronte alla diversità il rifiuto è infatti ancora l’atteggiamento più semplice e diffuso. Ad esso proviamo a contrapporre, almeno apparentemente, l’integrazione.

Integrare significa infatti letteralmente completare aggiungendo ciò che manca. Troppo spesso, però, questa azione parte dal presupposto che ciò-che-viene-completato sia preponderante (come importanza, senso, valore) rispetto a ciò-che-va-a-completare. Così il concetto primario di inserimento/ricomposizione diviene sinonimo di assorbimento, di assimilazione. L’integrazione tanto auspicata, in molti casi, si trasforma quindi in alienazione del diverso all’interno della maggioranza conforme, nel suo depotenziamento attraverso una riduzione unificante.

Sorprendente è la vicinanza di questa parola con un’altra oggi molto attuale: integralismo. Condividendo la stessa radice, forse non a caso i due termini finiscono talvolta per inseguire, anche se in modi dissimili, uno stesso fine: quello dell’annientamento del diverso attraverso la riduzione all’unità; del raggiungimento dell’ordine, che è visto come il bene supremo.

Superkilen, Red Square (fonte: http://flash.big.dk/projects/suk/)

Superkilen, Red Square (fonte: http://flash.big.dk/projects/suk/)

Il termine accogliere, il cui significato originario è “raccogliere presso di sé”, presenta significati simili a quelli del verbo integrare. Ma ad essi aggiunge una sfumatura essenziale, che consiste nella bene-volenza come presupposto dell’accettazione, dell’apertura al diverso, tipica di chi si pone nei panni dell’ospite, di “colui che sostenta o nutre i forestieri” senza fini di lucro, ma per sola umanità.

Accoglienza diviene quindi la parola chiave di un nuovo umanesimo, di una ospitalità, che in termini architettonici e urbanistici si traduce in accessibilità, in equità: ambientale, sociale, culturale.

La pianificazione, nel tentativo di dare ordine, di rincorrere funzionalità e standardizzazione semplificante, spesso si è dimenticata di prestare attenzione all’”accoglienza”della diversità.

Superkilen: Black Market (fonte: http://flash.big.dk/projects/suk/)

Superkilen: Black Market (fonte: http://flash.big.dk/projects/suk/)

Ma come sostiene Massimo Venturi Ferriolo, oggi non è più il tempo della tolleranza o dell’integrazione: “oggi bisogna accogliere”. Non solo sopportare o assimilare il diverso, l’inatteso, ma esaltarlo, valorizzandone le peculiarità. (Massimo Venturi Ferriolo, Paesaggi rivelati. Passeggiare con Bernard Lassus, Guerini e Associati 2006; p.111).

Qualità di un luogo diviene allora sinonimo di pluralità,  a cui si affianca la capacità di prendersi cura, di accogliere il diverso, l’inatteso. Gli spazi aperti, per loro vocazione, più del costruito si prestano ad essere luoghi delle opportunità (rispetto alle decisioni già prese del costruito), dell’accoglienza della bio-varietà, nel senso più ampio e trasversale del termine.

Superkilen, Green Park (fonte: http://flash.big.dk/projects/suk/)

Superkilen, Green Park (fonte: http://flash.big.dk/projects/suk/)

Esempio poderoso di spazio aperto alle diversità è il progetto di Superkilen, parco lineare di circa un chilometro realizzato nel quartiere di Nørrebro a Copenhagen

Commissionato dal Comune di Copenhagen e dall’associazione filantropica Realdania, il progetto è stato concepito dal gruppo di artisti visivi danesi Superflex, in collaborazione con lo studio di architettura Bjarke Ingels Group (BIG) e con il gruppo di paesaggisti tedeschi Topotek1.

Il progetto ha provato a cogliere la sfida di interpretare e dare voce alle circa 60 etnie diverse residenti nel quartiere più multietnico di tutta Copenhagen, per creare uno spazio dell’accoglienza, attraverso la sistemazione di oggetti urbani di affezione, suggeriti dai residenti in un ampio processo partecipativo, che ha prodotto un paesaggio punteggiato da porta biciclette arcobaleno provenienti dalla Finlandia; dissuasori da marciapiede ghanesi;  panchine etiopi, cubane, iraniane;  lampioni italiani, tombini parigini. E arredato con una piovra-scivolo arrivata dal Giappone; una fontana a mosaico marocchina; insegne luminose portate da Mosca, Pechino, Stati Uniti; palme cinesi, aceri norvegesi, larici del centro europa.

Superkilen: a surrealist collection of global urban diversity (fonte: http://flash.big.dk/projects/suk/)

Superkilen: a surrealist collection of global urban diversity (fonte: http://flash.big.dk/projects/suk/)

Più di cento oggetti da oltre cinquanta paesi del mondo, suggeriti dai residenti attraverso un processo partecipativo di segnalazione degli arredi urbani caratteristici del proprio paese di origine.

Una sorta di folies contemporanee che, come accadeva nei giardini pittoreschi, non solo ci trasportano con l’immaginazione in paesi lontani ed esotici, ma provano a tradurre il luogo in altre lingue, secondo diverse  sensibilità, immaginari inconsueti, stratificazioni di senso.

I possibili scontri culturali, di significati simbolici e affettivi dovuti alla giustapposizione un po’ casuale degli oggetti di arredo, fanno parte del gioco: stimolare l’incontro, la reciproca conoscenza, la condivisione.

Il parco combina inoltre funzioni diverse articolandole in tre zone successive: la Red Square, il Black Market e il Green Park.

Superkilen: Red Square,  Black Market and Green Park (fonte: http://flash.big.dk/projects/suk/)

Superkilen: Red Square, Black Market and Green Park (fonte: http://flash.big.dk/projects/suk/)

La Red Square, una coloratissima piazza dai toni accesi, è la prima parte del parco longitudinale. E’ uno spazio ibrido, a metà tra hall e piazza, tra interno ed esterno, con funzioni diverse e integrate, che spaziano dal parco gioco, alla viabilità ciclabile, con caffetterie e spazi per la musica e lo sport.

Il Black Market è invece uno spazio più classico, un salotto urbano con fontana al centro, ciliegi, palme, panchine, ed una serie di tavolini fissi dove giocare a backgammon o a scacchi.

Il Green Park, infine, è un paesaggio verde e un parco giochi dove le famiglie con bambini possono incontrarsi per il pic-nic, praticare sport di squadra (le cui regole sono uguali per tutti!), per passeggiare con il cane.

Superkilen esalta dunque la diversità non tanto perché si deve, perché è politicamente corretto, o per una sorta di “cortesia sociale”, ma molto più concretamente, “perché è utile, conviene, produce piacere e bellezza” (Valentina Ciuffi, Una folla di segni, in “Abitare” n.516, ottobre 2011), provando a dare risposta ad una varietà che non è solo culturale, identitaria, ma anche (e più semplicemente), anagrafica, psicofisica, attitudinale, funzionale.

Secondo un approccio evoluzionista il parco diventa così un terreno di prova per testare buone pratiche e arredi urbani di molti paesi: resisteranno solo i migliori, i più adeguati ed efficienti, “il meglio del mondo in fatto di paesaggio urbano”.

L’ordine costruito può finalmente lasciare il posto al disordine delle possibilità, valorizzando il movimento, la trasformazione, la complessità, che in fondo non solo altro che la caratteristica fondante della vita.

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