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Le “8 R” del paesaggio – Parte Seconda

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“Fra la cultura (o la civiltà) di una popolazione ed il paesaggio in cui essa vive esiste uno stretto rapporto biunivoco.  Un paesaggio genera una cultura che, nel tempo,  induce in esso modifiche sostanziali, al punto che il nuovo paesaggio influisce significativamente sulla cultura che l’ha modificato, determinandone una variazione” (Valerio Romani)

Questo, in altre parole, significa che il paesaggio del nostro futuro dipende in gran parte da noi, dalla cultura che oggi promuoviamo, dalla civiltà che scegliamo di costruire.  Contemporaneamente, però, quello che saremo, dipenderà anche dai paesaggi che abiteremo.

Non siamo infatti solamente produttori di paesaggio, ma siamo anche il prodotto delle nostre scelte, delle conseguenze che da esse derivano, dei luoghi che esse generano.

Ambrogio Lorenzetti Effetti del Buon Governo in campagna(1338-1339)

Ambrogio Lorenzetti Effetti del Buon Governo in campagna(1338-1339)

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Hope e Will: favola bella di un giardino rinato

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Ci sono storie che fanno bene al cuore, e che si vorrebbe veder pubblicate su ogni quotidiano, anche solo come riposante intermezzo tra le vicende di un politico corrotto, le quotazioni sempre in calo delle borse e le funeste previsioni riguardo al nostro imminente futuro.

Ma a raccontarle, queste storie, si rischia che la principessa venga rinchiusa nella torre, che il fidato scudiero venga bandito dal regno e che il giardino incantato torni ad essere una selva oscura, così ci si deve accontentare di trasformarle in favole, da raccontare la sera ai bambini, per rassicurarli che ancora, talvolta, il bene riesce a prevalere sul male, la giustizia sulla legge, il buon senso sulla stupidità.

Dunque…c’era una volta a Firenze un grande giardino monumentale che, abbandonato per anni, era andato in rovina, trasformandosi in uno spazio trascurato e incolto.

The secret garden, illustrated by Inga Moore

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“Esto_no_es_un_solar”: liberare spazi abbattendo preconcetti

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La lottizzazione, ovvero la frammentazione di un terreno in lotti, per ricavarne aree da destinare alla edificazione, è da sempre uno dei fulcri della pratica urbanistica, e prevede una utilizzazione del suolo che garantisce essenzialmente il vantaggio economico  dei proprietari.

 Le città moderne sono cresciute molto spesso attraverso questo semplice meccanismo, che ha guardato al territorio come ad una infinita scacchiera dove inserire nel tempo i volumi necessari allo sviluppo urbano.

Lottizzazione (foto di Alex McLean)

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Water square. Le infinite possibilità delle piazze d’acqua

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 Piove. Dopo molti mesi in cui non si vedeva una goccia d’acqua (e tutti a lamentarsi) in questo maggio piove quasi ogni giorno (….e tutti di nuovo a lamentarsi!). Colpa dei cambiamenti climatici? Delle scie degli aerei? Dell’anno dei Maya? Non è dato sapere.

Certo è che un po’ di pioggia non dovrebbe più stupirci, perchè ormai da qualche millennio, l’acqua, sotto forma di mari, fiumi, laghi e oceani, è uno degli elementi più comuni, costituendo circa il settanta percento della superficie terrestre.

Il paesaggio del pianeta Terra è dunque prevalentemente un paesaggio d’acqua.

Waterscape: l’acqua, costituisce circa il settanta percento della superficie terrestre.
(http://www.recursos2d.com/2010/11/mapa-del-mundo-con-salpicaduras-de-agua.html)

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“ReThinking a Lot”. Trasformare i parcheggi in parchi

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Nell’immaginario comune  non c’è forse niente di più lontano da un giardino, di una desolata area a parcheggio, completamente pavimentata, impermeabile,  generalmente arroventata  sotto il sole estivo e battuta dalla pioggia e dai venti gelidi nella stagione invernale. Un luogo dove abbandonare l’auto, ma nel quale sostare il più breve tempo possibile.

Eppure i parcheggi  rappresentano oggi uno dei “paesaggi” più comuni e frequentati, sia in ambito urbano che extraurbano.

Alex MacLean, Parking Lot at Disney World Orlando, Florida

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Design Revolution: progettare per il resto del mondo

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Secondo il rapporto delle Nazioni Unite “The Challenge of Slums”, nel 2001 quasi un miliardo di persone nel mondo (cioè una ogni sei) viveva in uno slum o in un campo profughi. Oggi quel numero è salito a una persona ogni sette ed è, probabilmente, destinato a crescere.

L’ultimo Rapporto sullo sviluppo umano, ha inoltre evidenziato che il divario tra ricchi e poveri continua a salire, e che quasi la metà della popolazione mondiale vive in condizioni di povertà; un quinto di questa nella povertà più assoluta.

Persone nel mondo che vivono negli slums (Fonte: UN-HABITAT)

Le riflessioni che questi dati inducono sono indubbiamente molte. Ma per chi si occupa, in varie forme, di progettazione, emerge un fatto decisamente chiaro, quanto sconcertante: architetti, planner e designer indirizzano la quasi totalità delle ricerche e della propria azione progettuale verso i bisogni di una minoranza della popolazione mondiale, mentre la stragrande maggioranza degli esseri umani continua a vivere, ignorata, in agglomerati senza servizi e infrastrutture primarie, in case senza spazio, igiene e sicurezza, privi delle risorse minime per acquistare un qualsiasi prodotto.

Bangalore slum, India (http://www.googlemonopoly.eu)

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Stay green! Il vento nuovo degli indignados verdi

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Every act of guerrilla gardening is a seed. It might germinate, it might not.
It might lead to another act […]. Someone may become inspired.
More people could join in. Who knows how big this thing could get.

David Tracey. Guerrilla Gardening. A Manualfesto

Il  4 novembre si sta preparando il primo attacco nazionale sincronizzato di guerrilla gardening, su iniziativa dei gruppi Badili Badola di Torino e Giardinieri Sovversivi Romani .

E’ un evento nuovo  nel panorama del nostro paese, che tenta di coordinare e mettere in rete “attacchi verdi”, che generalmente si consumano in modo sporadico, non connesso, nei più vari contesti, con caratteristiche diverse, e con (talvolta) sconfinamenti nel green-design e qualche deriva “eco-chic”.

Guerrilla Gardening. Il primo attacco nazionale sincronizzato!

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Prags Boulevard, uno spazio dove coltivare la fiducia

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Prags Boulevard non è solo un viale di Copenhagen, una semplice e funzionale linea retta di poco meno di 2 km che, attraverso quartieri residenziali e zone industriali, collega la parte antica della città con Amager.

Non è neppure un parco lineare, uno dei tanti, che stanno nascendo sopra, sotto, dentro, a lato delle infrastrutture viarie, dismesse o no.

E non è un’area gioco, o attrezzata, o verde: quelle i quartieri residenziali, in Danimarca, le hanno già.

Prags Bvd, Kristine Jensen

Prags Boulevard è uno spazio pensato perché le persone “possano stare insieme in modi nuovi”. Questa l’idea alla base del progetto di Kristine Jensen, visionaria paesaggista danese.

Ma questo tutti i progettisti lo dicono. La Jensen, però, sembra esserci riuscita, con poche facili regole.

La prima: la semplicità, la leggerezza con cui è stato affrontato il disegno degli spazi, degli arredi. Un segno superficiale, non invasivo, grafico, che pervade l’intero tracciato, dandogli unità e riconoscibilità. A dimostrazione che quando si ha davvero a cuore il benessere delle persone, la firma dell’archistar non serve.

La seconda: la varietà. Sette spazi collegati da percorsi pedonali e ciclabili, per sette diverse attività. Ognuno con il suo nome, semplice ma evocativo: the Garden, the Stage, the Pitch, the Box, the Cage, the Kindergarden, the Ramp.

Nel Garden è possibile riposare, pensare, leggere, immersi tra fiori e piante. All’interno dello Stage si può giocare, o fare piccoli spettacoli. Il Pitch è invece il luogo dove ridere, scherzare o dire quello che sta a cuore.  The Ramp è uno spazio costituito da un insieme di forme astratte che possono essere usate in molti modi: sedute, skateboard, pattinaggio, stretching.

Una rete di luoghi, insomma, che attrae persone di diverse età, con molteplici inclinazioni, mutevoli stati d’animo, in occasioni diverse. Leggi il resto di questa voce

Learning from Japan

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Nulla potrà cancellare le immagini dell’11 marzo, quegli attimi in cui lo spazio deformandosi ha sbriciolato certezze scientifiche, arroganza tecnologica, superiorità umana.

Nessuno potrà più parlare di ragionevole sicurezza, senza timore di essere smentito da uno tsunami di dubbi, ipotesi non contemplate, variabili impazzite.

Sembra ridicolo in questo momento  ragionare di progettazione, di pianificazione: chi può fermare un terremoto di intensità devastante, o uno tsunami di dieci metri di altezza?

Certamente il popolo giapponese costituisce un esempio in questo settore: altrove un evento sismico delle proporzioni di quello appena verificatosi, avrebbe avuto effetti significativamente più drammatici. Ma qualcosa forse si può ancora imparare. Qualcosa che l’antica cultura giapponese sapeva già, e che forse è stato troppo frettolosamente archiviato: la ricerca di una armonia con la Natura.

In Giappone, più che in molte altre parti del mondo, infatti, un territorio eccezionalmente bello nasconde una natura potenzialmente pericolosa. Un clima relativamente mite, temperato, una vegetazione lussureggiante si affiancano alla conformazione vulcanica del paese ed ai frequenti sconvolgimenti naturali a cui l’arcipelago va incontro. La cultura giapponese ha imparato perciò ad apprezzare e a rispettare una natura ambivalente, al tempo stesso benigna e matrigna, addomesticandola, conservandola, miniaturizzandola.

La tradizione, attraverso le stampe di Hokusai e di Hiroshighe ha tramandato per secoli gli elementi tipici del paesaggio: l’acqua, la montagna, il lago, l’isola, il bosco, che si ritrovano anche nel giardino classico giapponese come elementi astratti, evocativi, simbolici di una natura trasformata in arte.

 

 

 

Fig. 1 Hokusai. Un’improvvisa raffica di vento

 

 

 

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