Archivio dell'autore: paesaggi di decrescita

Spazi aperti per l’accoglienza e la valorizzazione delle diversità

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Diversità è una parola con molte accezioni, ampiamente studiata dalle scienze sociali, ma anche dalle cosiddette “scienze dure”.

Su di essa si basa il processo di riconoscimento sociale, il senso di appartenenza ad un gruppo.  Così come, al contrario, la diversità può accendere sentimenti di divergenza, di rifiuto di ciò che si allontana da quella normalità che conosciamo e che ci è familiare.

Nel 2001 la Dichiarazione Universale UNESCO sulla Diversità Culturale ha stabilito che “fonte di scambi, d’innovazione e di creatività, la diversità culturale è, per il genere umano, necessaria quanto la biodiversità per qualsiasi forma di vita. In tal senso, essa costituisce il patrimonio comune dell’Umanità e deve essere riconosciuta e affermata a beneficio delle generazioni presenti e future”.

Nella realtà quotidiana ci rendiamo conto però di quanto questo sia difficile e di come le diversità (culturali, ma anche religiose, economiche, ecc…) siano molto spesso interpretate come minacce piuttosto che come risorse, alimentando così conflitti: interpersonali, di gruppo, trans-nazionali.

Urban diversity:  Copenhagen’s Superkilen Urban Park by BIG + Topotek1 + Superflex (fonte: http://flash.big.dk/projects/suk/)

Urban diversity: Copenhagen’s Superkilen Urban Park by BIG + Topotek1 + Superflex (fonte: http://flash.big.dk/projects/suk/)

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Le “8R” del paesaggio – Parte terza

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In un recente articolo apparso su La Stampa, Vittorio Sabadin scrive: “tutte le grandi civiltà del passato credevano di durare in eterno, ed hanno invece subito prima o poi un collasso che le ha distrutte”. L’articolo fa riferimento ad uno studio finanziato dalla Nasa, basato su modelli matematici creati da ricercatori di una nuova disciplina chiamata “Handy” (Human and Nature Dynamics), che dimostrerebbe come il nostro mondo, così come lo conosciamo, sia ormai vicino la crollo.

I fattori che nel passato hanno determinato la caduta delle grandi civiltà in ogni continente (dall’impero romano, ai Maya, fino alle dinastie Han in Cina) secondo gli studiosi sono sostanzialmente cinque: popolazione, clima, acqua, agricoltura, energia. “Fino a che stanno in equilibrio, la civiltà prospera. Quando l’equilibrio si spezza senza essere rapidamente ripristinato, comincia il decadimento. Il collasso avviene se si verificano due condizioni sociali precise, purtroppo già fortemente presenti nella nostra civiltà: l’impoverimento delle risorse disponibili e la stratificazione della società tra un gruppo formato dalle élite e un altro dalla massa di gente comune” (Vittorio Sabadin, Civiltà al collasso. Così fan tutte, La Stampa, 20 marzo 2014).

NASA-funded study: industrial civilisation headed for 'irreversible collapse'?

NASA-funded study: industrial civilisation headed for ‘irreversible collapse’?

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Le “8 R” del paesaggio – Parte Seconda

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“Fra la cultura (o la civiltà) di una popolazione ed il paesaggio in cui essa vive esiste uno stretto rapporto biunivoco.  Un paesaggio genera una cultura che, nel tempo,  induce in esso modifiche sostanziali, al punto che il nuovo paesaggio influisce significativamente sulla cultura che l’ha modificato, determinandone una variazione” (Valerio Romani)

Questo, in altre parole, significa che il paesaggio del nostro futuro dipende in gran parte da noi, dalla cultura che oggi promuoviamo, dalla civiltà che scegliamo di costruire.  Contemporaneamente, però, quello che saremo, dipenderà anche dai paesaggi che abiteremo.

Non siamo infatti solamente produttori di paesaggio, ma siamo anche il prodotto delle nostre scelte, delle conseguenze che da esse derivano, dei luoghi che esse generano.

Ambrogio Lorenzetti Effetti del Buon Governo in campagna(1338-1339)

Ambrogio Lorenzetti Effetti del Buon Governo in campagna(1338-1339)

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Le “8 R” del paesaggio – Parte Prima

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“Vede, Robineau,  nella vita non ci sono soluzioni.
Ci sono delle forze in cammino:
bisogna crearle, e le soluzioni verranno”
Volo di notte, Antoine de Saint-Exupèry

 

“Il legame tra «tutela del paesaggio» e «progetto della decrescita» può essere molto stretto (intuitivo, persino banale) nella sua accezione fisica: il paesaggio lo si difende innanzitutto facendo un uso rispettoso e accorto del suolo, programmando un «minor consumo del territorio»”, scrive Paolo Cacciari (P.Cacciari, Paesaggio e decrescita, Comunicazione al convegno :“Il tramonto dell’Occidente”, Cagliari 9-11 novembre 2012).

Indubbiamente lo “stop al consumo di territorio” invocato in molte campagne nazionali e locali, e recepito da alcune Amministrazioni, è un ottimo inizio, ma non basta.

Opporsi semplicemente a nuove edificazioni non salverà il paesaggio dall’aggressione degli appetiti economici di molte forme di uso sostenibile del territorio, dalle lobby dell’energia pulita,  dall’aggressività della green economy o dagli impatti dei biocarburanti, così come nulla potrà contro l’ignoranza di abitanti e amministratori o contro l’abbandono.

Lo spunto che la Decrescita ci può offrire è forse più ampio, se si va oltre la denuncia dell’insensatezza della crescita fine a se stessa, e si considera la fecondità di un approccio basato sul circolo virtuoso di un insieme di cambiamenti interdipendenti, di cui le “8R” sono i principali pilastri.

Rivalutare, Riconcettualizzare., Ristrutturare, Ridistribuire, Rilocalizzare, Ridurre, Riutilizzare, Riciclare, sono concetti che possono essere declinati all’interno di molte discipline, attivando circoli virtuosi capaci di scardinare abitudini abusate, e di contagiare, quindi, anche la pianificazione e la gestione del territorio, aprendo la strada a pratiche di progetto più consapevoli e responsabili.

Se infatti, come sostiene Latouche, il “disastro urbano”, (che  è contemporaneamente “un disastro rurale e paesaggistico”), non rappresenta solo un fallimento degli urbanisti, ma è “il risultato di una crisi di civiltà”, è proprio all’interno di quella “civiltà” che vanno trovati gli anticorpi per provare a vivere e ad abitare in modo diverso.

Tra le macerie delle nostre città sta nascendo quella che Pierre Donadieu  ha definito la società paesaggista, “che non si accontenta dei luoghi in cui vive, né intende dare per scontato un unico modo di abitare, dettato dalle logiche economiche o dalle convenienze di alcuni (…). Essa continuamente critica gli ordini stabiliti mettendo in discussione forme e modi di abitare, ispirandosi di volta in volta ad alternative ecologiche, estetiche, sociali ed economiche” (Pierre Donadieu, Campagne urbane. Una nuova proposta di paesaggio della città, Donzelli, Roma 2006)

Molte infatti sono già le teorie, le pratiche e le realizzazione che, in modo più o meno consapevole, provano a declinare una o più delle “8R” in ambito urbano e territoriale . E’ possibile provare a metterne insieme alcune, anche se forse ancora embrionali, non organiche, diverse per approccio, strumenti, scale,  ma ugualmente importanti per iniziare a immaginare quali potrebbero essere i futuri “paesaggi di decrescita”.

Cedric Price, The city as an egg

Cedric Price, The city as an egg

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Alberi….di Natale

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Anche quest’anno i nubifragi e il forte vento di novembre hanno fatto registrare a Firenze numerosi danni a causa della caduta di rami o di interi alberi.

Un vecchio platano si è schiantato anche in Piazzale Donatello, invadendo la carreggiata, fortunatamente senza gravi conseguenze.

Platano recentemente crollato sulla carreggiata in piazzale Donatello (Fonte: http://multimedia.quotidiano.net/?tipo=photo&media=83499#3)

Platano recentemente crollato sulla carreggiata in piazzale Donatello (Fonte: http://multimedia.quotidiano.net/?tipo=photo&media=83499#3)

Forse anche per questo, a dicembre, assieme al consueto presepe degli artisti del Gruppo Donatello, sono comparsi nel giardino della piazza alcuni nuovi alberi….di Natale?!

Si tratta di alcune robinie, (non di abeti, fortunatamente), ma il modo in cui sono stati piantati sembrerebbe più opera dell’improvvisazione di un maldestro “elfo giardiniere” che di un tecnico munito di progetto approvato, ma soprattutto pensato.

Il presepe a cura degli artisti del “Gruppo Donatello” (foto s.m.)

Il presepe a cura degli artisti del “Gruppo Donatello” (foto s.m.)

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Il tempo del piano: da essere a divenire

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La pianificazione in senso generale, può essere definita come la programmazione di un’attività sulla base di un piano prestabilito.

La pianificazione urbana e territoriale, nello specifico, si occupano, a scale diverse, di predisporre e programmare azioni volte ad organizzare lo spazio e ad affrontare e risolvere problemi di gestione, sviluppo e tutela, attraverso scelte progettuali.

L’approccio da sempre privilegiato è quello di  predisporre azioni, in relazione alla previsione di un andamento futuro, basata sullo studio di dati appartenenti al passato.

Un atteggiamento deterministico che abbraccia totalmente quello che il matematico Pierre-Simon de Laplace sosteneva alla fine del Settecento, e cioè che lo stato attuale dell’universo sarebbe l’effetto del suo stato antecedente e causa del suo stato futuro. Se esistesse quindi una intelligenza capace di conoscere tutti gli elementi, le relazioni e le forze in gioco in un dato istante, il futuro di ogni fenomeno diventerebbe prevedibile, e non dovrebbe presentare sorprese, avere comportamenti insoliti, mostrare contraddizioni.

Già alla fine dell’Ottocento, però, il matematico francese Henri Poincaré aveva intuito che le leggi della fisica non erano in grado di prevedere molti fenomeni naturali, in quanto, come egli sosteneva, “una causa piccolissima che sfugga alla nostra attenzione determina un effetto considerevole che non possiamo mancare di vedere, e allora diciamo che l’effetto è dovuto al caso”.

La nuova scienza e la Teoria del caos hanno successivamente dimostrato vere  le intuizioni di Poincarè, stabilendo che per i sistemi complessi non lineari, l’approccio meccanicistico non funziona,  e che non è possibile fare previsioni attendibili sul loro futuro.  Così come è divenuto ormai chiaro che in natura l’unica costante è l’irregolarità, e che l’unico organismo in equilibrio è quello morto.

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Autunno, stagione di decrescita

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Se io preferisco tanto l’autunno alla primavera,

è perché in autunno si guarda il cielo – in primavera la terra.

 Søren Kierkegaard

Amo l’autunno, come un tempo amavo la primavera. Sarà una questione di età, di prospettive che si accorciano come le giornate, di colori che riscaldano i primi geli dell’inverno che si avvicina.

Trovo che questa stagione emani una grande serenità: nella festa di colori che inondano i paesaggi, nella ricchezza degli ultimi frutti, nella leggerezza con cui le foglie si lasciano cadere.

Questa  mezza stagione, come la mezza età, è un periodo ricco di contrasti, carico di una bellezza dirompente, non tanto perchè piena di aspettative inespresse come in primavera, ma, al contrario, perché matura di esperienze vissute.

 In autunno lo splendore dell’anno non è ancora finito, e nello stesso tempo non c’è più l’urgenza del crescere, dell’andare a frutto. La routine viene per un attimo interrotta da una festa di colori abbaglianti, da cieli cristallini su cui si stagliano toni di rosso acceso, quello che i giardinieri più raffinati  rifuggono in tutte le altre stagioni, ma che in autunno esaltano per illuminare gli angoli più belli dei loro giardini.

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Dimissioni per la decrescita

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Dimissioni è sicuramente una delle parole che più ha caratterizzato il 2013.

In questo difficile anno,c’è chi si è dimesso perché non più all’altezza della situazione, per un desiderio di autolimitazione di fronte ad un compito che sembrava diventato troppo grande per le proprie forze; chi si è dimesso per aver superato ogni limite di credibilità provando a smacchiare un giaguaro, e chi si è dimesso per un desiderio smodato di illimitatezza, di superamento di qualsiasi regola, di qualsiasi limite imposto alle ambizioni proprie e del proprio capo.

Le dimissioni sono spesso una rinuncia, possono essere imposte oppure scelte, così come possono mandare via, lasciare andare o portare altrove (dal latino dimittĕre). Talvolta si configurano anche come una rivendicazione, una protesta.

Torna in mente in questo caso Henry David Thoreau,  che nel suo famoso saggio “Disobbedienza civile” scriveva:  “se vuoi davvero fare qualcosa, rassegna le dimissioni”.

Dimissioni (Altan)

Dimissioni (Altan)

Thoreau parlava allora della necessità di obiezione, di ribellione non violenta verso leggi ingiuste, che non rispettavano i diritti civili.

Latouche ha recentemente scritto, riguardo alla necessità di ribellarsi alla follia e all’ingiustizia di una crescita infinita, sottolineando l’opportunità di ritrovare il senso del limite, a livello individuale, ma ancor più a livello collettivo.

Due atteggiamenti che presentano molti punti di contatto e che uniti possono svelare una  rivoluzionaria potenzialità: le dimissioni come strumento di protesta pacifica, di autolimitazione, di decrescita civile.

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Ripide considerazioni su paesaggi alpini

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Non so se esistano nei vari dialetti dell’Alto Adige diverse parole per indicare la mille gradazioni di verde che contraddistinguono i paesaggi alpini, così come la leggenda metropolitana vuole che gli Inuit abbiano un centinaio di vocaboli per descrivere la neve (….lo so, è una bufala, ma è un peccato che non sia vero!).

Certo è che chi abita qui, o semplicemente vive in questi luoghi per qualche settimana l’anno, sa che il semplice aggettivo “verde” è del tutto insufficiente a dare ragione delle mille sfumature di prati, campi, laghi, boschi, orti che si rincorrono e si sovrappongono per queste valli.

(foto S.M.)

(foto S.M.)

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Se si insegnasse la bellezza

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Peppino Impastato: Sai cosa penso? Che quest’aeroporto in fondo non è brutto, anzi…

Salvo Vitale: Ma che cosa dici?

Peppino Impastato: No ma… Visto così dall’alto, uno sale qua sopra e potrebbe anche pensare che la natura vince sempre, che è ancora più forte dell’uomo e invece non è così! In fondo tutte le cose, anche le peggiori, una volta fatte poi si trovano una logica, una giustificazione per il solo fatto di esistere: fanno ‘ste case schifose con le finestre in alluminio e i muri di mattoni finti… Mi stai seguendo?…

Salvo Vitale: Eh, ti sto seguendo!

Peppino Impastato: …I balconcini, ‘a gente ci va a abitare e ci mette… le tendine, i gerani, la televisione e dopo un po’ tutto fa parte del paesaggio, c’è, esiste, nessuno si ricorda più di com’era prima, non ci vuole niente a distruggere la bellezza.

Salvo Vitale: Ah beh, ho capito, ma allora?

Peppino Impastato: E allora… E allora invece della lotta politica, la coscienza di classe, tutte le manifestazioni e ‘ste fissarie, bisognerebbe ricordare alla gente cos’è la bellezza, aiutarla a riconoscela, a difenderla.

Salvo Vitale La bellezza?

Peppino Impastato: La bellezza, è importante la bellezza, da quella scende giù tutto il resto.

(I cento passiregia di Marco Tullio Giordana, 2000)

 

 

Bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione” sosteneva Peppino Impastato. La bellezza è importante, da quella scende giù tutto il resto.

La creazione di “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” nel 1995 è stato sicuramente un primo passo per “valorizzare la memoria delle vittime di mafie e di ogni altra violenza e non dimenticare chi si è impegnato a costruire giustizia”.

Credo però che oggi Peppino Impastato sarebbe particolarmente felice sapendo che l’Italia parteciperà alla terza edizione del Premio  del Paesaggio del Consiglio d’Europa, e lo farà con  il progetto “La rinascita dell’Alto Belice Corleonese dal recupero delle terre confiscate alla mafia”, realizzato dalla “Cooperativa Placido Rizzotto” e presentato proprio da Libera Terra. 

Candidato italiano al Premio del Paesaggio del Consiglio d'Europa 2012-2013
Candidato italiano al Premio del Paesaggio del Consiglio d’Europa 2012-2013

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