Archivi tag: paesaggi di decrescita

Le “8R” del paesaggio – Parte terza

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In un recente articolo apparso su La Stampa, Vittorio Sabadin scrive: “tutte le grandi civiltà del passato credevano di durare in eterno, ed hanno invece subito prima o poi un collasso che le ha distrutte”. L’articolo fa riferimento ad uno studio finanziato dalla Nasa, basato su modelli matematici creati da ricercatori di una nuova disciplina chiamata “Handy” (Human and Nature Dynamics), che dimostrerebbe come il nostro mondo, così come lo conosciamo, sia ormai vicino la crollo.

I fattori che nel passato hanno determinato la caduta delle grandi civiltà in ogni continente (dall’impero romano, ai Maya, fino alle dinastie Han in Cina) secondo gli studiosi sono sostanzialmente cinque: popolazione, clima, acqua, agricoltura, energia. “Fino a che stanno in equilibrio, la civiltà prospera. Quando l’equilibrio si spezza senza essere rapidamente ripristinato, comincia il decadimento. Il collasso avviene se si verificano due condizioni sociali precise, purtroppo già fortemente presenti nella nostra civiltà: l’impoverimento delle risorse disponibili e la stratificazione della società tra un gruppo formato dalle élite e un altro dalla massa di gente comune” (Vittorio Sabadin, Civiltà al collasso. Così fan tutte, La Stampa, 20 marzo 2014).

NASA-funded study: industrial civilisation headed for 'irreversible collapse'?

NASA-funded study: industrial civilisation headed for ‘irreversible collapse’?

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Le “8 R” del paesaggio – Parte Seconda

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“Fra la cultura (o la civiltà) di una popolazione ed il paesaggio in cui essa vive esiste uno stretto rapporto biunivoco.  Un paesaggio genera una cultura che, nel tempo,  induce in esso modifiche sostanziali, al punto che il nuovo paesaggio influisce significativamente sulla cultura che l’ha modificato, determinandone una variazione” (Valerio Romani)

Questo, in altre parole, significa che il paesaggio del nostro futuro dipende in gran parte da noi, dalla cultura che oggi promuoviamo, dalla civiltà che scegliamo di costruire.  Contemporaneamente, però, quello che saremo, dipenderà anche dai paesaggi che abiteremo.

Non siamo infatti solamente produttori di paesaggio, ma siamo anche il prodotto delle nostre scelte, delle conseguenze che da esse derivano, dei luoghi che esse generano.

Ambrogio Lorenzetti Effetti del Buon Governo in campagna(1338-1339)

Ambrogio Lorenzetti Effetti del Buon Governo in campagna(1338-1339)

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Le “8 R” del paesaggio – Parte Prima

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“Vede, Robineau,  nella vita non ci sono soluzioni.
Ci sono delle forze in cammino:
bisogna crearle, e le soluzioni verranno”
Volo di notte, Antoine de Saint-Exupèry

 

“Il legame tra «tutela del paesaggio» e «progetto della decrescita» può essere molto stretto (intuitivo, persino banale) nella sua accezione fisica: il paesaggio lo si difende innanzitutto facendo un uso rispettoso e accorto del suolo, programmando un «minor consumo del territorio»”, scrive Paolo Cacciari (P.Cacciari, Paesaggio e decrescita, Comunicazione al convegno :“Il tramonto dell’Occidente”, Cagliari 9-11 novembre 2012).

Indubbiamente lo “stop al consumo di territorio” invocato in molte campagne nazionali e locali, e recepito da alcune Amministrazioni, è un ottimo inizio, ma non basta.

Opporsi semplicemente a nuove edificazioni non salverà il paesaggio dall’aggressione degli appetiti economici di molte forme di uso sostenibile del territorio, dalle lobby dell’energia pulita,  dall’aggressività della green economy o dagli impatti dei biocarburanti, così come nulla potrà contro l’ignoranza di abitanti e amministratori o contro l’abbandono.

Lo spunto che la Decrescita ci può offrire è forse più ampio, se si va oltre la denuncia dell’insensatezza della crescita fine a se stessa, e si considera la fecondità di un approccio basato sul circolo virtuoso di un insieme di cambiamenti interdipendenti, di cui le “8R” sono i principali pilastri.

Rivalutare, Riconcettualizzare., Ristrutturare, Ridistribuire, Rilocalizzare, Ridurre, Riutilizzare, Riciclare, sono concetti che possono essere declinati all’interno di molte discipline, attivando circoli virtuosi capaci di scardinare abitudini abusate, e di contagiare, quindi, anche la pianificazione e la gestione del territorio, aprendo la strada a pratiche di progetto più consapevoli e responsabili.

Se infatti, come sostiene Latouche, il “disastro urbano”, (che  è contemporaneamente “un disastro rurale e paesaggistico”), non rappresenta solo un fallimento degli urbanisti, ma è “il risultato di una crisi di civiltà”, è proprio all’interno di quella “civiltà” che vanno trovati gli anticorpi per provare a vivere e ad abitare in modo diverso.

Tra le macerie delle nostre città sta nascendo quella che Pierre Donadieu  ha definito la società paesaggista, “che non si accontenta dei luoghi in cui vive, né intende dare per scontato un unico modo di abitare, dettato dalle logiche economiche o dalle convenienze di alcuni (…). Essa continuamente critica gli ordini stabiliti mettendo in discussione forme e modi di abitare, ispirandosi di volta in volta ad alternative ecologiche, estetiche, sociali ed economiche” (Pierre Donadieu, Campagne urbane. Una nuova proposta di paesaggio della città, Donzelli, Roma 2006)

Molte infatti sono già le teorie, le pratiche e le realizzazione che, in modo più o meno consapevole, provano a declinare una o più delle “8R” in ambito urbano e territoriale . E’ possibile provare a metterne insieme alcune, anche se forse ancora embrionali, non organiche, diverse per approccio, strumenti, scale,  ma ugualmente importanti per iniziare a immaginare quali potrebbero essere i futuri “paesaggi di decrescita”.

Cedric Price, The city as an egg

Cedric Price, The city as an egg

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Spazi aperti alla crisi. Nuovi paesaggi di decrescita urbana

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Da decenni l’urbanistica sta cercando di fare i conti con la cronica mancanza di spazi aperti in ambito urbano, incapace di abbandonare realmente una stagione funzionalista interessata più a occupare il territorio, che a dare spazio .

Oggi la crisi che stiamo vivendo ha sferrato un ulteriore colpo ad un altro aspetto legato allo spazio aperto: quello relativo al suo essere “pubblico”, inteso sia nell’accezione di servizio garantito alla cittadinanza attraverso risorse pubbliche, sia di luogo della comunità, aperto a tutti.

La crisi finanziaria e la relativa mancanza di risorse, a cui si legano conseguentemente una scarsa manutenzione, l’abbassamento della qualità, e l’aumento dell’insicurezza sembrerebbero dunque avere già scritto il requiem per lo spazio pubblico, travolto dall’impossibilità/incapacità delle amministrazioni di gestire, mantenere e valorizzare il proprio patrimonio, così come di immaginare e progettare il suo futuro.

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La bicicletta e l’arte di pensare…anche al paesaggio

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Athos è un amico, da sempre. Il suo ultimo libro “La bicicletta e l’arte di pensare. Cicloturismo filosofico in Val d’Orcia”, (edizioni Effegi)  l’ho letto perché me lo ha regalato, e perché si leggono sempre i libri degli amici. Ma poi è successo qualcosa.

Come una lenta salita in bicicletta, la lettura mi ha appassionato, tramutando lo sforzo di entrare in me stessa (e di pormi domande da tempo sopite), nella soddisfazione di mettermi in discussione, di intravedere risposte, come quando “un bel panorama o un nuovo incontro premiano la fatica del ciclista”.

Il libro è molte cose insieme: un “giro ciclistico intorno all’uomo”, un appassionato dialogo con molti dei più grandi filosofi e pensatori, una guida anomala, ma indiscutibilmente originale, della Val d’Orcia.

Non è decisamente un libro sul paesaggio, eppure l’autore parte spesso da questo, e a questo ritorna, nelle sue divagazioni sul “mistero umano, con i suoi pensieri da scalare, le sue paure da percorrere, i suoi tortuosi sentimenti da visitare”.

Ma questo non parlare di paesaggio o meglio di parlarne dal di fuori, offre importanti spunti di riflessione a chi voglia coglierli, forse proprio perché non intenzionali, o perché riferiti ad un universo più ampio.

Castiglioni (177)

(Foto di Athos Turchi)

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“Esto_no_es_un_solar”: liberare spazi abbattendo preconcetti

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La lottizzazione, ovvero la frammentazione di un terreno in lotti, per ricavarne aree da destinare alla edificazione, è da sempre uno dei fulcri della pratica urbanistica, e prevede una utilizzazione del suolo che garantisce essenzialmente il vantaggio economico  dei proprietari.

 Le città moderne sono cresciute molto spesso attraverso questo semplice meccanismo, che ha guardato al territorio come ad una infinita scacchiera dove inserire nel tempo i volumi necessari allo sviluppo urbano.

Lottizzazione (foto di Alex McLean)

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Water square. Le infinite possibilità delle piazze d’acqua

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 Piove. Dopo molti mesi in cui non si vedeva una goccia d’acqua (e tutti a lamentarsi) in questo maggio piove quasi ogni giorno (….e tutti di nuovo a lamentarsi!). Colpa dei cambiamenti climatici? Delle scie degli aerei? Dell’anno dei Maya? Non è dato sapere.

Certo è che un po’ di pioggia non dovrebbe più stupirci, perchè ormai da qualche millennio, l’acqua, sotto forma di mari, fiumi, laghi e oceani, è uno degli elementi più comuni, costituendo circa il settanta percento della superficie terrestre.

Il paesaggio del pianeta Terra è dunque prevalentemente un paesaggio d’acqua.

Waterscape: l’acqua, costituisce circa il settanta percento della superficie terrestre.
(http://www.recursos2d.com/2010/11/mapa-del-mundo-con-salpicaduras-de-agua.html)

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Misurare la tranquillità. Un nuovo indicatore della qualità del paesaggio

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 “Paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Così recita la traduzione italiana della Convenzione Europea del Paesaggio, firmata a Firenze nell’ormai lontano 2000.

Oltre dieci anni di studi e progetti hanno però messo in luce quanto sia difficile tenere realmente in considerazione la “percezione” della popolazione, nei percorsi di pianificazione, di valorizzazione o di gestione.

Recentemente, però, l’Observatori del Paisatge de Catalunya, ha pubblicato sul suo sito uno studio relativo agli indicatori di qualità per il paesaggio che, oltre ad accogliere dati e numeri riferiti ai soliti indicatori su ambiente, sostenibilità, valori culturali ed estetici, ecc… riporta uno studio del Centre for Environmental & Spatial Analysis della Northumbria University, relativo al rapporto tra tranquillità e paesaggio.

Landscape and tranquillity (Charles M. Schulz)

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Salviamo il paesaggio?

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Dopo il successo incoraggiante  dei referendum su acqua e nucleare, il Movimento “Stop al consumo di territorio”, lancia un altro importante appello per suscitare l’interesse e la mobilitazione civile attorno ad un tema altrettanto importante, ma forse ancora più difficile da comprendere e da comunicare:  il paesaggio. Non quello da cartolina, o da rivista patinata, ma la realtà complessa che si intreccia  indissolubilmente con l’ambiente, il territorio,  l’economia, la storia, la cultura (e la civiltà!) di un popolo, divenendone la forma visibile.

L’obiettivo primario del Movimento è la costituzione del Forum nazionale  “Salviamo il paesaggio, difendiamo i territori” (http://www.salviamoilpaesaggio.it/). L’appello è rivolto a tutti, semplici cittadini e associazioni, per contribuire ad “arrestare lo scriteriato consumo di suoli fertili e boschivi dal dilagare di cemento ed asfalto”. Perché in molti (dal Sindaco di Cassinetta di Lugagnano all’Associazione dei Comuni Virtuosi), hanno ormai dimostrato che esiste una strada concreta alternativa al “modello della crescita infinita”: si può gestire un Comune anche facendo a meno degli oneri di urbanizzazione derivanti da nuove edificazioni.

Forum nazionale “Salviamo il paesaggio, difendiamo i territori” http://www.salviamoilpaesaggio.it/

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Cantieri di decrescita urbana

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La definizione di sviluppo sostenibile contenuto nel rapporto Brundtland del 1987 è: “uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”.

Nella nostra economia di mercato, però, l’insoddisfazione permanente del consumatore è condizione necessaria alla continuità della produzione. E’ cioè indispensabile che i beni prodotti e acquistati dalle persone siano immediatamente riconosciuti come superati, vecchi, arretrati, così che i desideri siano percepiti nuovamente come disattesi.

Parlare di sostenibilità all’interno di una società dei consumi appare quindi, sempre più chiaramente, una contraddizione in termini.

Per tentare di superare l’ossimoro costituito dall’accostamento dei termini sviluppo e sostenibilità, (che ricorda in maniera inquietante quelli di guerra pulita o di bombe intelligenti), Serge Latouche ha sviluppato l’idea di decrescita.

Ad una decrescita necessaria, inevitabile, subìta che si profila inesorabile al nostro orizzonte, egli contrappone infatti la scelta condivisa di una a-crescita, che non rifiuta la tecnologia, ma spinge a ridefinire le priorità, mettendo al centro i concetti di cura e di responsabilità individuale.

 

Una utopia concreta che si propone di superare le logiche del PIL e della produzione e “di reinventare un’altra idea di bellezza che ci porti a vedere le città, il territorio, i paesaggi, le comunità umane in modo differente”.

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